Digitalizzare un processo analogico significa crearne una versione diversa che consenta all’organizzazione di trarre vantaggi dalle dinamiche del digitale. Questi ultimi sono collegati alla dematerializzazione degli asset, alla interoperabilità dei flussi di dati, alla possibilità di accedervi a prescindere dalla localizzazione fisica degli stessi e, più in generale, ad una maggiore velocità del processo rispetto al suo omologo analogico.
Mi succede di essere chiamato per provare a mettere in ordine processi di digitalizzazione incagliati. Il motivo è spesso collegato a quell’aggettivo, “diverso“, che ho evidenziato all’inizio di questo post. Il processo digitale è necessariamente diverso dal suo omologo analogico. E’ diverso in quanto richiede strumenti diversi, flussi di lavoro diversi e nuove competenze da parte degli utenti coinvolti nel processo di digitalizzazione.
Noto che sono due gli aspetti spesso problematici:
- Si ritiene, erroneamente, che digitalizzare un processo analogico consista semplicemente nell’aggiungervi nuove tecnologie.
- Si sottovaluta la resistenza al cambiamento di pressoché tutti i livelli dell’organizzazione e – soprattutto – quanto forte possa essere questa resistenza.
Un processo di digitalizzazione deve certamente avere come obiettivo finale l’ottenimento dei vantaggi del digitale ma deve essere progettato tenendo in considerazione il contesto in cui verrà inserito, gli utenti coinvolti nella digitalizzazione e le relative competenze (o mancanza delle stesse) nonché il tasso di cambiamento che il nuovo processo richiederà rispetto all’omologo analogico. Maggiore sarà il tasso di cambiamento introdotto, maggiore dovrà essere il coinvolgimento degli utenti impattati dal nuovo processo al fine di aumentarne consapevolezza e collaborazione.
Una digitalizzazione di processo incompleta rende semplicemente più difficoltoso un processo analogico che probabilmente sino a ieri funzionava bene.